Descrizione
Una paura atavica e insuperabile attanaglia da sempre Julian Barnes, quella della propria estinzione. Nessun conforto può venire dalla fede, all’agnostico scrittore, che fin dalla prima riga confessa: «Non credo in Dio, però mi manca». Non resta dunque che unirsi alla fitta schiera di illustri tanatofobici che l’hanno preceduto ? da Montaigne a Renard, da Rachmaninov a Larkin ? provando a convincersi che nel grande «buco nero dell’abisso» non c’è niente, ma proprio niente, di cui avere paura. «La morte è dolce; ci libera dalla paura della morte», scriveva Jules Renard quand’era giovane e in salute. «Una consolazione? No, è un sofisma. O piuttosto una prova supplementare che per sconfiggere la morte e i suoi terrori ci vuole ben più della logica e del ragionamento». Lo sa bene Julian Barnes, che dell’una e dell’altro ha sempre fatto ampio uso nel tentativo di esorcizzare la più atavica e insuperabile delle paure, quella della morte, senza mai riuscire ad addomesticarla. Quali armi restano, dunque, all’agnostico scrittore che, per trovare sollievo dall’idea dell’estinzione, non può neppure contare sul balsamo della fede? Be’, innanzitutto ricordare che, oltre a essere la più viscerale e antica, la paura della morte è anche la più comune e condivisa. E se è vero che «ogni tanatofobo ha bisogno del conforto temporaneo di un caso più grave del proprio», guardarsi intorno può aiutare.